Dostoevskij ed il "cedere il passo"

A me capita spesso di rimuginarci su. Certe persone ti incrociano sul marciapiede, venendo in senso contrario, come se tu fossi invisibile, di vetro, come se fossi fatto d'aria. Certe volte cedo il passo, altre irrigidisco la spalla per l'inevitabile urto. Immancabilmente, dopo, si girano e mormorano un " scusi, non l'avevo vista " che mi fa imbestialire ancora di più !
Ma dico io, e cedere a metà la strada ? Io stringo un po' da una parte e tu dall'altra. Ma la mia enorme cultura... quello che resta quando si è dimenticato tutto... per associazioni dal sapore freudiano, mi ha spinto a cercare su Google.
" Memorie dal Sottosuolo " ! Dostoevskij... l'avevo letto. Ecco qui un brano del grande scrittore (il mio preferito) che dipinge sapientemente la scenetta...
Talvolta nei giorni di festa camminavo sul Nevskij dopo le tre e passeggiavo sul lato soleggiato. Cioè, non vi passeggiavo affatto, ma subivo innumerevoli tormenti, umiliazioni e travasi di bile; ma si vede che proprio di questo avevo bisogno. Sgusciavo come un'anguilla, nel modo più brutto, fra i passanti, cedendo continuamente il passo ora a un generale, ora a un ufficiale della guardia a cavallo o degli ussari, ora a una signora; in quei momenti provavo spasimi dolorosi al cuore e vampe di calore alla schiena alla sola idea della miseria del mio vestito, della miseria e volgarità della mia figuretta sgattaiolante. Era un supplizio d'inferno, un'incessante, insopportabile umiliazione al pensiero, divenuto sensazione incessante e immediata, di essere una mosca in confronto a tutto quel bel mondo, una schifosa, oscena mosca - più intelligente di tutti, più evoluta di tutti, più nobile di tutti, la cosa è sottintesa - ma una mosca che incessantemente cedeva il passo a tutti, da tutti umiliata e da tutti offesa. Perché mi sottoponevo a quel supplizio, perché andavo sul Nevskij? Non lo so. Ma mi sentivo semplicemente attirato là appena se ne presentava l'occasione. Già allora cominciavo a provare accessi di quei piaceri di cui ho parlato nel primo capitolo. Ma dopo la storia con l'ufficiale cominciai a sentirmi attirato ancor più fortemente sul Nevskij: proprio lì lo incontravo più spesso, proprio lì lo ammiravo. Anche lui ci andava, soprattutto nei giorni di festa. Sebbene anche lui si scansasse dinanzi ai generali e agli alti funzionari, e anche lui serpeggiasse come un'anguilla fra loro, quelli come noialtri, o anche più su di noialtri, semplicemente li schiacciava; gli andava dritto contro, come se davanti a lui ci fosse uno spazio vuoto, e non c'era verso che cedesse il passo. Io m'inebriavo della mia rabbia, guardandolo, e... stizzosamente mi scansavo ogni volta dinanzi a lui. Mi tormentava che perfino per strada non potessi in alcun modo stargli alla pari. "Perché ti scansi sempre per primo?", mi tormentavo da solo, in preda a una furia isterica, svegliandomi talvolta dopo le due di notte. "Perché proprio tu, e non lui? Nessuna legge lo prescrive, non sta mica scritto da nessuna parte! Che sia alla pari, come avviene di solito quando si incontrano delle persone educate: metà cederà lui, e metà tu, e passerete rispettandovi l'un l'altro". Ma non succedeva così, e nonostante tutto mi scansavo io, e lui non si accorgeva neppure che gli cedevo il passo. Ed ecco, a un tratto fui illuminato da un'idea sorprendente. "E se una volta lo incontrassi", pensai, "e... non mi facessi da parte? Non mi facessi da parte di proposito, anche a costo di dargli uno spintone: eh, che ne dite?". Quest'idea ardita a poco a poco s'impossessò di me al punto da non darmi più pace. Ne fantasticavo incessantemente, esasperatamente, andavo più spesso sul Nevskij apposta per immaginarmi con ancor maggiore chiarezza come avrei agito al momento buono. Ero in estasi. La mia intenzione mi sembrava sempre più verosimile e realizzabile. "S'intende, non proprio dargli uno spintone", pensavo, rabbonendomi già in anticipo per la gioia, "ma semplicemente non farsi da parte, scontrarsi con lui non in modo da far molto male, ma così, spalla contro spalla, esattamente quel tanto che delimitano le convenienze; cosicché io lo urti nella stessa misura in cui lui urterà me". Finalmente mi decisi del tutto. Ma i preparativi richiesero moltissimo tempo.
[...]
Ma confesso che dopo ripetuti tentativi cominciai perfino a disperare: non c'era modo di scontrarsi, punto e basta! Per quanto mi preparassi, per quanto rinnovassi il mio proposito, proprio quando pareva che, ecco, ci saremmo scontrati, a un tratto mi rendevo conto che di nuovo gli avevo ceduto la strada e lui era passato, senza accorgersi di me. Recitavo perfino delle preghiere, avvicinandomi a lui, perché Dio mi desse la forza. Una volta ero proprio fermamente deciso, ma finì che gli capitai soltanto fra i piedi, perché all'ultimissimo momento, a una distanza di forse dieci centimetri, mi mancò il coraggio. Egli mi passò sopra imperterrito, e io, come una pallina, rimbalzai di lato. Quella notte stetti di nuovo male, ebbi la febbre e delirai. E a un tratto tutto si concluse come meglio non si poteva. La notte prima avevo definitivamente stabilito di non mettere in atto il mio rovinoso proposito e di lasciar perdere tutto, e a questo scopo uscii per l'ultima volta sul Nevskij, solo così, per vedere come avrei lasciato perdere tutto ciò. A un tratto, a tre passi dal mio nemico, inaspettatamente mi decisi, socchiusi gli occhi e - ci scontrammo in pieno, spalla contro spalla! Non cedetti di un pollice e passai oltre assolutamente sul suo stesso piano! Egli non si voltò neppure e fece finta di non essersene accorto; ma fece solo finta, ne sono convinto. Ne sono tuttora convinto! È chiaro che io ne feci maggiormente le spese; lui era più forte, ma non era questo il punto. Il punto era che avevo raggiunto lo scopo, avevo confermato la mia dignità, non avevo ceduto di un passo e mi ero posto pubblicamente al suo stesso livello sociale. Tornai a casa completamente vendicato di tutto. Ero in estasi. Trionfavo e cantavo arie italiane. S'intende, non starò a descrivervi quel che mi accadde di lì a tre giorni; se avete letto il mio primo capitolo "Il sottosuolo", potete indovinarlo da voi. L'ufficiale fu poi trasferito chissà dove; sono ormai quattordici anni che non lo vedo. Che fa adesso, il mio tesoruccio? Chi opprime con le sue angherie?

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