La casa di campagna dagli alti muri


Vedersi dal di fuori, lo specchio, la propria voce. Tematiche che ho affrontato in questo POST .
Pessoa le riprende con un lampo geniale e le condensa in poche righe. Da notare anche che parla di memoria involontaria, un termine che usava anche Proust ma in senso diverso (vedi QUI e l'etichetta a destra " memoria involontaria "). 


" Per questo, a volte mi perdo in un’immaginazione futile su che tipo di persona sono per gli altri che mi vedono, come è la mia voce, che tipo di figura lascio impressa nella memoria involontaria degli altri, in che modo i miei gesti, le mie parole, la mia vita apparente, si fissano sulla retina dell’interpretazione altrui. Non sono mai riuscito a vedermi dal di fuori. Non c’è specchio che ci rimandi a noi come persone viste dal di fuori, perché non c’è specchio che ci tiri fuori da noi stessi. Sarebbe stata necessaria un’altra anima, un altro punto di vista e un altro modo di pensare. Se fossi un attore di lungo corso di cinema, o registrassi in dischi nitidamente udibili la mia voce chiara, sono certo che sarei ugualmente lungi dal conoscere ciò che io sono dall’altro lato, poiché, lo si voglia o no, qualsiasi cosa si possa registrare di me, io rimango sempre qui dentro, nella casa di campagna dagli alti muri della mia coscienza di me. "

Personalità multipla

Pessoa ed il gioco degli specchi, degli eteronimi, della personalità multipla. Al di là della creazione artistica, si intravede un'incrinatura patologica, schizofrenica, che lo porterà a farsi ricoverare due volte per crisi depressive.
Da " Il libro dell'inquietudine " .

" Ho creato in me varie personalità. Creo costantemente delle personalità. Ogni mio sogno, subito dopo esser apparso come sogno, si incarna in un’altra persona, che a sua volta lo sogna, non io.
Per creare, mi sono distrutto a forza di esteriorizzarmi dentro di me, perché dentro di me esisto solo esteriormente. Sono la scena dove passano vari attori che recitano drammi diversi. "


L'occhio insonne che attraversa l'infinito

Ancora una notte insonne, una delle tante, di Pessoa. Questo stato di sofferenza, gemello notturno della nausea di vivere diurna, permette all'autore di distillare pensieri sottili come piume. Il gocciolare di una stalattite scolpita nella roccia del tempo.

" Dopo che il tramonto degli astri è sbiancato fino a svanire nel cielo mattutino e la brezza si è fatta meno fredda nel giallo appena tinto di arancio della luce sopra le scarse nuvole basse, io che non avevo dormito, alla fine ho potuto sollevare lentamente il corpo esausto di niente dal letto dove avevo pensato l’universo.
Sono andato alla finestra con gli occhi che mi ardevano per non averli chiusi. Sui tetti fitti la luce formava differenze di giallo pallido. Sono rimasto a contemplare il tutto con la grande stupidità dell’insonnia. Nelle sagome elevate delle case alte il giallo era aereo e nullo. In fondo ad occidente, verso cui io ero rivolto, l’orizzonte già era di un bianco verdolino.
So che la giornata per me sarà pesante come il non capire niente. So che tutto quello che farò oggi parteciperà, non della spossatezza per non aver preso sonno, ma dell’insonnia che ho avuto. So che vivrò un sonnambulismo più accentuato, più epidermico, non solo perché non ho dormito, ma perché non ho potuto dormire.
Ci sono giorni che sono filosofie, che ci insinuano interpretazioni della vita, come note a margine, dense di acuta critica, nel libro del nostro destino universale. Sento che questo è uno di quei giorni. Per assurdo, mi sembra che sia proprio con i miei occhi pesanti e il mio cervello annullato che, con un’assurda matita, vengono scritte le lettere del commento inutile e profondo. "

Il vento in una conchiglia notturna

Avete mai sentito nel sonno, o nel dormiveglia, un rumore fortissimo, come un tuono, od uno scoppio improvviso, e vi siete svegliati di soprassalto, per constatare con meraviglia che si era trattato di un rumore banale ? Forse lo scricchiolio di un mobile, o un indumento che era caduto dalla sedia, o una imposta che sbatteva, piano.
Il sonno, anzi il sogno, a volte amplifica a dismisura certe sensazioni; altre volte invece le attenua, come quando si sogna di avere sete o di andare al bagno. In questi ultimi casi, il sogno ha la funzione di proteggere il più a lungo possibile il sonno, intuizione da cui è partita la geniale analisi di Freud.
In queste magistrali righe Pessoa, con la sua arte sublime, dipinge questi momenti magici, sospesi tra sogno e realtà.

" All’inizio è un rumore che produce un altro rumore nella notturna cavità delle cose. Poi è un ululato vago, accompagnato dal cigolante oscillare delle insegne della via. Poi, ancora, all’improvviso arriva in tono alto la voce ruggente dello spazio ed è tutto un tremore, e non oscilla, e si fa il silenzio nella paura di tutto come una paura sorda che vede un’altra paura dopo che è passata.
Poi non c’è più niente, solo il vento, solo il vento, e mi accorgo nel sonno che le imposte fissate vibrano e dalle finestre esce il rumore di vetro che resiste.
Non dormo. Intrasono. Ho tracce nella coscienza. In me il sonno pesa senza che la coscienza pesi… Non sono. Il vento… Mi sveglio e mi riaddormento e non ho ancora dormito. C’è un paesaggio dal rumore alto e torvo oltre al quale non mi riconosco. Assaporo, prudentemente, la possibilità di dormire. In effetti dormo, ma non so se dormo. In quello che crediamo che sia sonno, c’è sempre un rumore di quando finisce tutto, il vento nell’oscurità e, se ascolto ancora, il rumore dei miei polmoni e del mio cuore. "

La memoria involontaria secondo Pessoa

In due post precedenti ho illustrato il concetto di " memoria involontaria " secondo Proust (cerca a destra tra le etichette : Memoria involontaria). Si tratta della famosa madeleine, da cui parte la Recherche, e della potenza dei ricordi evocati da una sensazione gustativa od olfattiva. La madeleine evoca gusti perduti, in questa pagina Pessoa ritrova profumi antichi. 

" L’olfatto è una vista strana. Evoca paesaggi sentimentali, attraverso il disegno improvviso del subconscio. L’ho sentito molte volte. Passo per una strada. Non vedo niente, o meglio, guardando tutto, vedo come vedono tutti. So che passo per una strada e non so che essa ha dei lati fatti di case diverse e costruite da persone umane. Passo per una strada. Da una panetteria esce un profumo di pane che per quanto è dolce dà la nausea: e la mia infanzia allora compare da un determinato quartiere distante, e un’altra panetteria mi appare da quel regno di fate che è tutto quello che ci è morto. Passo per una strada. Profuma improvvisamente di frutta disposta sul ripiano inclinato dell’angusta bottega; e la mia breve vita di campagna, non so più quando e dove, ha alberi alla fine e tranquillità nel mio cuore, indiscutibilmente bambino. Passo per una strada. Mi frastorna, senza che me lo aspetti, l’odore di cassette del falegname: oh, mio Cesário! Mi appari e io sono finalmente felice, perché sono tornato, con il ricordo, all’unica verità, che è la letteratura. "

Nube a mensola

Ieri sera, verso le 19.30 è iniziato il finimondo. Venti fortissimi ed una pioggia che non era pioggia, era una cascata, le cateratte bibliche, un mare che precipitava. Oggi leggo che sono caduti 50 mm di pioggia in un'ora (!) ed i venti arrivavano a 108 km/h.
Non credo di aver mai visto una cosa del genere: un tremore intenso di sottofondo, come un tuono prolungato, un urlo lontano, provocato dalla caduta dell'acqua. Mi sono precipitato a chiudere gli scuri ed in quei pochi secondi mi sono praticamente lavato.
In silenzio abbiamo atteso, la paura di sentire uno schianto, un albero abbattuto, un fulmine che colpisse la casa. Sono andato a controllare di sotto: se la pompa dell'acqua non avesse funzionato a dovere, si sarebbe allagato tutto. Un'ora di vigile attesa, come ritornare alla preistoria ed aspettare, dentro la caverna, che gli dei della pioggia si fossero calmati.

Danni ingentissimi ovviamente, ed una foto che documenta l'eccezionale fenomeno meteorologico (nube a mensola), scattata nella campagne attorno a Padova.
(Dalla rete) - La nube a mensola o shelf cloud ha un’altezza dal suolo molto bassa, è lunga ed a volte arcuata per via della spinta originata dal downdraft (correnti discendenti del temporale). La schelf cloud è attaccata alla base del temporale e la si trova spesso nelle supercelle. Infatti può essere chiamata anche con il termine "disco supercellulare" se essa si forma alla base di una supercella. Si presenta sulla parte avanzante (quindi sarà la prima parte che vedremo) di un temporale sufficientemente intenso. La shelf cloud precede di pochissimo i rovesci di pioggia e grandine. Eventuali strie orizzontali (evidentissime nella foto), sono indice di particolare violenza del fenomeno.



L'asociale

Asocialità, isolamento, un muro di gomma che isola dal contatto con l'esterno.

L’isolamento mi ha conformato a sua immagine e somiglianza. La presenza di un’altra persona – di un’unica persona – mi fa immediatamente rallentare il pensiero; così, se nell’uomo normale il contatto con l’altro è una sollecitazione all’espressione e alla parola, in me tale contatto è un contro-stimolo, concesso che tale parola composta sia possibile dal punto di vista linguistico. Sono capace, da solo con me stesso, di inventare quanti motti di spirito, risposte pronte a cose mai dette, folgorazioni di una socialità intelligente con alcuna persona; ma tutto questo svanisce se mi trovo di fronte ad un altro in carne ed ossa, perdo l’intelligenza, rinuncio alla possibilità di esprimermi e, dopo qualche quarto d’ora, sono solo preso dal sonno. Sì, parlare con le persone mi fa venire voglia di dormire. Solo i miei amici spettrali e immaginati, solo le mie conversazioni che si svolgono in sogno, hanno una vera realtà e un giusto rilievo, e con loro il mio spirito è presente come una immagine allo specchio.
Del resto, mi pesa solo l’idea di essere costretto a stare in contatto con qualcun altro. Un semplice invito a cena con un amico mi provoca un’angoscia difficile da definire. L’idea di un qualsivoglia obbligo sociale – andare ad un funerale, trattare insieme a qualcuno una questione d’ufficio, andare alla stazione ad attendere una persona qualsiasi, conosciuta o sconosciuta – solo l’idea mi sconvolge i pensieri per un’intera giornata, e a volte comincio a preoccuparmi il giorno prima, e dormo male, e il caso nella sua dimensione reale, quando si verifica, è assolutamente insignificante, e non giustifica nulla. Tuttavia, la cosa si ripete e io non imparo mai ad imparare.
«Le mie abitudini sono attinenti alla solitudine e non agli uomini»; non so se sia stato Rousseau o Senancour a dire questo. Ma certo è stato qualche spirito della mia specie – potrei forse dire della mia razza.

L'abito abbandonato

Da " Il libro dell'inquietudine " di Pessoa, la morte ed il sonno.

" Mi sento a volte preso, non so perché, da un preavviso di morte… un malessere indefinito, che non si materializza in dolore e per questo tende a spiritualizzarsi in un fine, cioè, una stanchezza che richiede un sonno così profondo che il dormire non gli basta – certo è che sento come se, sfinito per la malattia, alla fine aprissi privo di forze e di rimpianti le deboli mani sulla coltre rimboccata.
Rifletto, allora, su questa cosa che chiamiamo morte. Non voglio dire il mistero della morte, che non riesco a penetrare, ma la sensazione fisica di cessare di vivere. L’umanità ha paura della morte, ma in modo indefinito; l’uomo normale si batte bene nella prova, l’uomo normale, malato o vecchio, raramente guarda con orrore l’abisso del nulla che egli attribuisce a questo stesso abisso. Tutto ciò è mancanza di immaginazione. Non c’è niente di più errato del ritenere la morte simile al sonno. Perché dovrebbe esserlo se la morte non assomiglia al sonno? L’essenza del sonno è il destarsi da esso, ma dalla morte – suppongo – non ci si desta. E se la morte somiglia al sonno, dovremo avere la nozione che ci si desti da essa. Tuttavia, non è questo ciò che l’uomo normale si figura: si figura per sé la morte come un sonno dal quale non ci si risveglia, il che non vuole dire niente. La morte, l’ho detto, non somiglia al sonno, poiché nel sonno si è vivi e dormienti; non so come si possa ritenere la morte simile a qualche cosa, se non si ha esperienza di essa, o non si ha una cosa cui raffrontarla.
A me, quando vedo un morto, la morte sembra una partenza. Il cadavere mi dà l’impressione di un abito abbandonato. Qualcuno se ne è andato e non ha avuto bisogno di portare con sé quell’unico abito che indossava. "

Il lampo dell'autocoscienza

Ancora Pessoa, da " Il libro dell'inquietudine ". Spero di non annoiarvi, ma devo assolutamente postare queste meraviglie, queste pagine altissime. E' come se fossi io a scriverle: sento un bisogno di esternarle, che qualcun altro le legga, non possono cadere nell'oblio.

" D’improvviso, come se un destino chirurgo mi avesse operato di una vecchia cecità con immediati grandi risultati, sollevo il capo, della mia anonima vita, verso la conoscenza nitida di come esisto. E vedo che tutto ciò che ho fatto, tutto ciò che ho pensato, tutto ciò che sono stato, è una specie di inganno e di follia. Mi meraviglio di non essere riuscito a vederlo. Mi stupisco di quello che sono stato, vedendo che alla fine non sono.

Pessoa, in una notte insonne

Ho riscoperto il piacere della lettura. Dopo i miei anni giovanili, e la sbornia di letture, da Shakespeare a Dostoevskij, da Proust a Kafka, passando per moltissimi altri, ecco che da qualche tempo mi sono rimesso a leggere.
Non è quella febbre d'allora, ma è una cosciente emozione di ritrovare in altri autori me stesso. Sarà che la palude di Twitter mi ha lasciato disgustato, col dubbio di essere rimasto l'unico a sentire, a provare certe cose.
Per fortuna non è così, e dopo Calvino, Borges, Musil, Kafka, Platonov, De Unamuno, Brodskij, Dostoevskij, Cechov (alcuni già estensivamente letti, altri nuove conoscenze), eccomi approdare a Pessoa, che non conoscevo.
Mi lascia senza parole, è la poesia che incontra la filosofia; la psicologia (di cui sono dotati tutti i geni della letteratura), che scava in abissi di verità. Sono solo all'inizio, ma già conquistato per sempre.
Da " Il libro dell'inquietudine" un brano in cui la notte insonne, e quello stato crepuscolare della coscienza, permettono di sfiorare metafisiche certezze. Sono quei momenti, scanditi dal pendolo dell'infinito, in cui, trattenendo il respiro, si percepisce, si tocca, l'assoluto.

Settanta, il numero perfetto


Testardamente, con cocciutaggine, continuo la mia avventura su Twitter. Se c'è una persona che non è adatta ad un social network, quella sono io, ma fino a che non mi stufo (e sento succederà presto), continuo a sbattere la testa contro il vetro, come una mosca.
Come si fa ad accogliere con benevolenza, sulla TL , un  " BUONGIORNO MONDOO !!! " urlato a squarciagola ? Ancora sto cercando di connettere, mi torna su il caffellatte.
Poi ci sono quelle che citano brani di canzoni, sempre degli stessi : Ligabue (che detesto), Vasco Rossi (sono fermo alle bollicine), Jovanotti (il farfugliatore rosso). E quelle che mettono una mezza dozzina di canzoni di fila: già non ascolto quasi mai la musica, e mi dà fastidio sentirla occasionalmente dalle finestre dei vicini.
E l'invasione della TL ? Come su Facebook, ed è l'essenza del social !
Piove di tutto : frasi simpatiche, a volte profonde, citazioni, poesie, ma anche sciocche lamentele, una marea di battute stupide, foto orrende.
Non ce la faccio, devo arginare, devo mettere un freno. E sto seguendo solo una sessantina di utenti, cosa sarebbe con un migliaio ? Mi vengono i brividi. Per fortuna che c'è l'opzione " disabilita il retweet " , che applico sistematicamente, almeno quelli li evito.
Se tutti disabilitassero il retweet, come faccio io, Twitter scomparirebbe, o almeno le tweetstar si ritroverebbero con pochissimi follower. Non a caso sono le tweetstar che esortano ad usare il retweet, ma più che dimostrazione di " generosità " , come dovrebbe essere, questo viene usato per piaggeria: una specie di scambio di favori.
Il mio ideale sarebbe avere una ristretta cerchia di spiriti eletti. Non figure immateriali ed eteree, ma donne spiritose, colte, profonde, misteriose e ovviamente belle. Dovrò setacciarne diecimila per trovarne una decina. Facciamo settanta, va, un numero a caso: come l'harem dei mussulmani quando vanno in paradiso.

Le due serie

Sono andato a visitare la torre con l'orologio astronomico di Padova. Proprio vero che la città la conoscono meglio i turisti di chi, come me, ci vive.
Interessantissimo, segna mese, ore, minuti, fasi lunari, le costellazioni, segno zodiacale e altre cose che non ricordo più. Ci sono centinaia di ruote dentate, rotelle, sfere, puleggie, corde, aste. E' l'orologio astronomico più antico al mondo !
La guida è un orologiaio in pensione, dai capelli bianchi e la voce morbida. Bello ascoltare le sue parole mentre si sente il pesante pendolo oscillare, ed i vari meccanismi lavorare. E' il tempo che passa, lento, inesorabile, quieto.
All'ora esatta suona la campana, battendo i rintocchi corrispondenti alle ore; dopo cinque minuti ripete il procedimento. E' perchè se qualcuno ha perso uno o due colpi (botti), sta più attento a ricontarli (ribotti). Un po’ come all'aeroporto : ripetono i messaggi, perchè quando non te l'aspetti, puoi perderne la prima parte.
E l'orologiaio, sorridendo, ci mette una punta di filosofia: la prima serie è il tempo andato, quello morto. La seconda è il futuro.


Risate su Twitter

Periodicamente aggiungo qualche riflessione su questo grandioso esperimento, che è la mia partecipazione ad un social network così " cazzuto " come Twitter.
Perchè cazzuto ? Perchè per esempio, statistiche alla mano, nei miei ultimi 34 tweet ho collezionato la bellezza di UNA stellina, ed era su una citazione di Leonardo da Vinci !
OK... ho solo 85 follower e di questi meno di 20 sono assiduamente attivi, ma se moltiplichiamo 34 x 20 fa 680. Su 680 " letture " solo una volta quello che scrivevo (anzi l'ha scritto Leonardo) è stato giudicato meritevole di un " preferito ", una stellina appunto. Se non sono cazzuti questi qui... o forse bisognerebbe dire cazzoni ?
E sì che 4 o 5 (donne),  di questi 85 fantomatici follower, sono intelligenti, spiritose, colte. Sono o sembrano ? Devo essere sincero : se non ti piace nessuna, ma proprio nessuna cosa di quello che scrivo, nessunissima... beh... allora " si scema " !
In realtà una non mi segue, e quindi è giustificata, ma le altre ? Possibile che in 34 tweet non sia riuscito a strappare un sorriso ? Cosa che invece mi succede spesso quando faccio dei commenti. Forse non mi leggono ? I miei tweet si perdono nella marea che inonda la loro pagina, visto che seguono centinaia di utenti ?
Queste " tweetstar ", poi, qualche difettuccio ce l'hanno. I loro tweet sono graziosi, ma si vede un certo mestiere: l'abilità, il vezzo, squisitamente femminile, di sapere cosa piace, e come si può apparire affascinanti, rigirandosi attorno al mignolo il pirlotto di turno.
C'è un modo per smascherarle: osservare i retweet. Mentre infatti i tweet sono ben confezionati, calibrati, luccicanti, come colorati cioccolatini su un vassoio d'argento, quando le " signore " si lasciano andare un po' , e retwettano quello che piace a loro, ecco che il gusto si abbassa, e di molto.

Dimmi chi retuitti e ti dirò chi sei...

Pur considerando l'ovvia differenza dettata dal sesso, nelle preferenze, è rarissimo che mi piaccia anche ciò che retuittano; tanto è vero che, tranne per tre utenti, per tutte le altre ho usato la preziosa opzione " disabilita il retweet " .
Il tweet è quello che indossi quando esci, per fare colpo; il retweet è come giri per casa, è la risata che ti è scappata senza volere...
Avete presente come ridono le donne ad una barzelletta ? C'è la risata alta, cristallina, che sfoggia denti bianchissimi fra labbra rosse, magari anche la fossetta in una guancia, o strizza leggermente il naso, e ti senti rimescolare dentro, mentre il cuore ti accelera... e c'è la risata grassa, rumorosa, che prorompe come uno sputo, come quelle che scrivono BUHAHAHHA, e ti si ghiaccia il sangue nelle vene...

Synecdoche, New York

Bellissimo film di Kaufman. Sineddoche, cioè una parte per il tutto, o viceversa. Difficile riassumerlo, commentarlo, interpretarlo. Come un libro di Joyce, Musil, Dostoevskij : troppo densi, pieni di monologhi profondi, di ricerca filosofica, di poesia.
Mentre segui le scene, non puoi far altro che annuire, perchè quello che vedi, e che senti, ti risveglia panorami lontani, memorie assopite, letture giovanili. Ne assapori la profondità, la fine psicologia, l'amara esperienza di vita. Dovrei rivederlo almeno un paio di volte, ma non ho compiti per casa, mi accontento di vibrare, come un diapason.

Ecco, per esempio, il monologo del prete :

Tutto è molto più complicato di quanto pensiate. Voi riuscite a vedere solo un decimo della verità. Ci sono milioni di piccoli lacci legati ad ogni scelta che voi fate che possono distruggere la vostra vita, ogni volta che scegliete. Ma probabilmente per 20 anni voi non lo saprete e magari non riuscirete mai a risalire alla causa. E avete un unico modo per proseguire ed è cercare di capire i motivi del vostro divorzio. E in quel momento qualcuno vi dirà che non esiste il destino, e invece esiste eccome, è ciò che voi create. E anche se il mondo va avanti per millenni voi siete qui giusto per la frazione di una frazione di secondo. Gran parte del vostro tempo la trascorrete da morti, o non ancora nati, e poi mentre siete vivi, aspettate invano, sprecando anni in attesa di una telefonata, di una lettera o di uno sguardo da parte di qualcuno o di qualcosa che sistemi le cose, ma che non arriverà mai, o che sembra che arrivi, ma non ancora. E quindi buttate via il vostro tempo in un vago rammarico o una vana speranza che qualcosa di buono arriverà, qualcosa che vi faccia sentire meno soli, che vi faccia sentire amati. E la verità è che io mi sento così arrabbiato, la verità è che mi sento così fottutamente triste, e la verità è che io mi sono sentito così fottutamente male per tutto quello che ho sbagliato, e per tutto questo tempo io ho fatto finta che tutto invece andasse bene, solo per andare avanti e non so il perché. Forse perché nessuno voleva ascoltare la mia sofferenza, perché ognuno aveva la propria. Fanculo tutti. Amen

O ancora in un'altra occasione, il protagonista :

Io sto morendo e così anche voi. Stiamo tutti andando incontro alla morte, anche se per il momento siamo ancora qui, vivi. Ma ognuno di noi sa che deve morire, anche se nel suo profondo crede di no.