Il tavolo, questa convenzione !

Senza scomodare le idee di Platone, quando parliamo come facciamo a comprenderci ?
Un bambino, a poco a poco, apprende il linguaggio: ad un nome corrisponde una cosa, un oggetto. Poi, col tempo, impara che ci sono nomi più complessi che esprimono idee, sentimenti, stati d'animo.
Ma la parola esprime un'idea alla quale l'oggetto si adatta, o è viceversa ?
Dall'esperienza vengono le idee o le idee permeano, rendono intelligibile, l'esperienza ?
Prendiamo un tavolo: se io dico, o scrivo, " TAVOLO " , ognuno di voi capisce a cosa mi riferisca, e mentalmente se lo raffigura.
Quando un grande scrittore " dipinge " una scena, descrivendola, voi la vedete coi vostri occhi, con gli occhi della mente. Per ciascun lettore quegli oggetti saranno leggermente diversi, come le fattezze dei personaggi, ma la storia avrà un senso compiuto, coerente.
Perchè se dico tavolo voi mi capite ? A che cosa corrispondono queste sei lettere ? E' possibile definire l'oggetto tavolo, in modo che valga per tutti ?
Spesso mi immagino le difficoltà a cui va incontro chi compila un dizionario, un'enciclopedia, qualsiasi cosa in cui si richieda un esatta definizione. Vediamo, a proposito di tavolo.
Dal dizionario Coletti : " mobile formato da un piano di legno o di altro materiale, sostenuto perlopiù da quattro gambe, che serve per vari usi " .
Adesso considerate che anche un bambino di sei anni capisce cos'è un tavolo, per cui, nella definizione citata, togliamo senz'altro la parola " mobile ", che implica arredamento etc. Direi piuttosto  " oggetto ", o  " cosa ". Un bambino userebbe senz'altro cosa.

Picasso negli ultimi tempi ambiva a ritornare bambino, la sua arte aveva compiuto un cerchio infinito ed era ritornata alle origini : " A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino " . Cerchiamo di risalire alla fonte, là è il mistero.
Nel concetto di tavolo, a mio avviso, non è importante il numero della gambe. Almeno tre sembrerebbero indispensabili a prima vista, come le tre dimensioni, per poterlo sostenere; eppure ci sono tavolini, come quelli dei bar, che hanno una gamba sola ed una base più larga, alla quale si ancorano. Però almeno una, di gamba, ne occorre; in mancanza il tavolo sarebbe una semplice tavola, un vassoio, una superficie amorfa.
Il tavolo deve quindi avere un'altezza minima, conferitagli dalla/e gambe, altrimenti potrei appoggiare direttamente le cose per terra ! E deve possedere altresì una superficie orizzontale, questo è imprescindibile; non esistono tavoli " verticali ", perchè la funzione del tavolo è di fornire un sostegno, un appoggio, per qualche cosa.
Un tavolo ha una precipua funzione antigravitaria: evita che la mela che vi è appoggiata sopra cada ! Il tavolo combatte la forza di gravità universale e ne impedisce l'estrinsecarsi, con buona pace di Newton, che non vedrebbe la mela cadere...
Quindi verticalità, cioè altezza, ed orizzontalità. Alla fine quindi il tavolo ha un suo proprio volume, anche se sembra " fatto d'aria " e contornare un volume, circoscriverlo.
Se non possedesse l'altezza sarebbe piatto, pari all'umile terra, se non avesse una superficie orizzontale, rimarrebbero semplicemente uno o più pali, gambe, inservibili per quello che è il suo scopo : sostenere qualcosa. E a tal fine è indispensabile anche una certa consistenza, una solidità : è impensabile appoggiare qualcosa su un tavolo di carta !
Ecco che i requisiti crescono, ma parallelamente anche le cose non indispensabili, e quindi eliminabili in questo gioco di aggiungere e togliere, in questo vagliare all'infinito le eccezioni e ciò che accomuna.
Non voglio, quindi, tentare una definizione mia, anche perchè quello su cui rifletto, è che non esiste una definizione esatta. " L'idea " del tavolo c'è, ed è in ognuno di noi, ma è sfuggente, inafferrabile, incomunicabile, indefinibile.
Per non pensare ai parenti più o meno stretti del tavolo ! Definire le differenze fra tavolo, tavola, tavolino, scrivania, banco, leggìo, sedia, seggiola, poltrona, sdraio, panca, cassapanca e così via. Non si finirebbe mai con i distinguo, sempre più sottili.
Eppure ci capiamo... eppur si muove. Per ciascun oggetto abbiamo una definizione, un'idea, non assolutamente esatta (dipende anche dalla cultura), ma sufficentemente giusta. E' tutto un'approssimazione, meglio una convenzione.

7 commenti:

  1. Ma... sei lo stesso Andrea di lemiefreccetricolori.blogspot.com? ;-)
    No... perchè... "lì" sei così rigidamente tecnico e schematico.
    Adesso, invece, comincio a intravedere quella profondità personale interiore che, come è giusto che sia, non si intravede dall'altra parte.
    Ti dispiace se ti rompo un pò le scatole anche quì?

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  2. Fai pure, prima era un mortorio qui.
    Pensa che ho altri due blog ! Uno di poesie, ma è fin troppo personale; l'ho fatto vedere solo ad un paio di persone, e l'altro di politica, ma è acido muriatico allo stato puro.

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  3. Allora non ti preoccuppere: te lo procuro io un pò di lavoro....:-)

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  4. Stò crepando dalle risate.... mio Dio!!! A volte non capisco se il mio cervello viaggi troppo più veloce delle mani sulla tastiera, o.... se sia l'esatto contrario. :D

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  5. Credo che sia la vecchia questione del gap tra significante (ovvero la parola) e significato (ovvero l'oggetto/idea veicolata dal significante). In semiotica ci sono tesi che portano all'incomunicabilità perché se con la parola tavolo, bene o male, si può comprendere non dico l'oggetto, ma almeno la sua funzione, cosa accade quando il significante è "amore" o "orgoglio" o "paura"? In realtà la soluzione è molto semplice e si chiama "convenzione". Il linguaggio è convenzionale, è un accordo non scritto, ma universalmente riconosciuto, accettato e sottoscritto da tutte le parti, in cui si dichiara di comprendere il significato generale della parola. La rielaborazione, il messaggio e il feedback... beh, questi sono altri discorsi. E non vorrei tediarti. Perdonami, ma non ho saputo resistere al richiamo di qualcosa che ho studiato per tanti anni! :))

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  6. Quindi il titolo del post è corretto.
    Ma a parte l'insieme di convenzioni che costituiscono il linguaggio, quello che mi affascina è come l'essenza dell'oggetto, che sia esso materiale o più complesso (amore, orgoglio, paura), viene percepita "istintivamente".
    Ritorniamo al bambino... non è che puoi stargli a fare un discorso troppo lungo su significato e significante, eppure se gli lanci una palla rossa dicendo "guarda che bella palla rossa", ecco che diventa padrone del concetto di "rotondo", di "colore", di "rosso".
    Il tutto senza il minimo sforzo, almeno apparentemente.
    In realtà i suoi neuroni lavorano incessantemente, concatenando eventi, paragonando, soppesando, evidenziando relazioni fra gli oggetti e le loro qualità.
    C'è qualcosa che va la di là della pura convenzione, quel quid che da sempre sfugge al filosofo...

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