Quaderno II
Della morte
Tristezza di svegliarmi di notte e trovarmi con una mano addormentata. Mi affretto a muoverla e a toccarla, preoccupato di averla morta e secca e che la morte giunga attraverso di essa.
Terrore della notte in cui mi svegliai di soprassalto con le palpitazioni.
Follia che tempo fa mi veniva in mente, l'immortalità per intensità.
Alcuni vivono in un tempo determinato più di altri; costui vive in quattro anni più di quello in venti, vita più
varia e in questo modo si può arrivare a vivere un'eternità in intensità in un tempo limitato, poiché ogni estensione è infinita, in quanto contiene infinite parti.
Sì, però, seguendo la metafora, è infinita nel nulla, contiene infiniti zeri. Vanità di vanità. Non in questo
cambiamento e varietà, bensì nell'immobilità della fede e della grazia, sta I'eternità della vita.
E lo svegliarsi di notte e dirsi: Sarò vivo? Sarò morto e la mia esistenza continuerà d'ora in poi nello stare eternamente come ora, qui, in questo modo, così giacente, solo con me stesso e con i miei pensieri, per sempre, sempre,sempre? A che serve in più l'inferno? Se si prende infatti un uomo in un qualunque momento della sua vita, quello che egli crede il più felice, e gli si fa credere che quel momento sarà reso permanente ed eterno, man mano che esso si arresta, vedrà in esso l'inferno.
Gran conforto sarà a volte trattenere il tempo e rendere fisso un momento passeggero del flusso del tempo. Però, se questo conforto si prolungasse per sempre, giungerebbe ad essere il nostro maggiore tormento.
Parlando del momento estremo della morte, dice il maestro Granada: "tornare indietro è impossibile, andare avanti è intollerabile, fermarsi così non ti è concesso: dunque, cosa farai?".
Terribile mistero quello del tempo! Quando saremo liberi del tempo, del tempo irreversibile e irreparabile?
Se all'improvviso, mentre siamo sani, vedessimo che stiamo perdendo la vista, che gli oggetti ci si cancellano, che le tenebre avanzano, non ci prenderebbe il terrore? E il morire che cosa ha a vedere con il restare cieco? E la mente stessa che concepisce il mio ottenebramento si ottenebrerà e, mentre più oscuramente lo concepisce, atterriti per questo graduale indebolimento di percezione, segno certo della propria fine, vorremmo resistervi, come colui che, vinto dal sonno, cerca di dominarlo e apre gli occhi. Chi abbia esperimentato cos'è la lotta con il sonno, intravvederà ciò che deve essere il lottare con la morte. Voler parlare e non potere, voler alzarsi e le gambe non ti obbediscono, volerci fare forza e dominare il male e sentire la forza che ci manca.
Vedere un moribondo assopito, che non parla né muove membro né dà altro segno di vita che il respiro.
Forse sai se in lui si combattono tremende battaglie ed egli soffre di non poterlo esprimere o non ha forza per esse?
Perché succede che i suoi sentimenti e le sue idee non abbiano sufficiente vigore per esprimersi però, restando soli in un corpo finito, lo riempiano tutto come le stelle che riempiono il cielo quando il sole si spegne.
Gli spettatori non sanno ciò che accade nell'ultimo istante e, poiché questo è unico e nessuno è tornato a raccontarcelo, non ne sappiamo nulla. E’ dell'unico che non abbiamo esperienza: si muore una volta sola. E non vale forse la pena di vivere per questo unico atto? vivere per morire?
Non si deve pensare a ciò, si dice: se ci mettessimo a cavillare sulla morte, la vita si farebbe impossibile.
Bisogna pensarci, poichè, se conoscere la malattia, è il principio del rimedio, e se la morte è la malattia
dell'uomo, conoscerla significa cominciare a porvi rimedio. Quando questa idea della morte che oggi paralizza le mie fatiche e mi sommerge nella tristezza e nell'impotenza, sarà essa stessa a spingermi a lavorare per l'eternità della mia anima e non per immortalare il mio nome fra i mortali, sarò guarito.
Quaderno III
Morte
C’è gente che sente I'orrore della sepoltura e, vedendo in un cimitero, una fossa o un loculo, dicono: starò lì al buio, senz'aria, senza movimento, mangiato dai vermi, con le gelate dell'inverno e disfatto dall'umidità ? E mi si decomporrà il corpo e mi imputridirò tutto ? Questa gente non pensa che non vedranno l'oscurità né udranno il silenzio del loculo, non si renderanno conto della mancanza d'aria, non sentiranno il freddo, non sentiranno nulla, non saranno nella sepoltura nè in alcuna parte, nel modo in cui pensano. La loro immaginazione li tortura come un assurdo, costruendosi una coscienza come quella dei vivi in un corpo morto. Però è tortura molto maggiore quella dell'immaginazione che si sforza di immaginarsi come se non esistesse. Mettiti a pensare di non esistere e vedrai qual è l'orrore della sepoltura spirituale. Il terribile stato di coscienza in cui pensiamo che non ci sia questo stato, il pensare che non pensiamo, dà una vertigine di cui neppur la ragione può curare.
Quaderno III
Morte
Quando uno è tisico, la sua famiglia evita di dirglielo e cerca con tutti i mezzi di ingannarlo per non dirgli che gli restano un anno, mesi di vita. Contiamo su di essi? Quattro, cinque, dieci anni valgono più di uno? Non siamo tisici?
Quaderno III
Morte
C’è gente che sente I'orrore della sepoltura e, vedendo in un cimitero, una fossa o un loculo, dicono: starò lì al buio, senz'aria, senza movimento, mangiato dai vermi, con le gelate dell'inverno e disfatto dall'umidità ? E mi si decomporrà il corpo e mi imputridirò tutto ? Questa gente non pensa che non vedranno l'oscurità né udranno il silenzio del loculo, non si renderanno conto della mancanza d'aria, non sentiranno il freddo, non sentiranno nulla, non saranno nella sepoltura nè in alcuna parte, nel modo in cui pensano. La loro immaginazione li tortura come un assurdo, costruendosi una coscienza come quella dei vivi in un corpo morto. Però è tortura molto maggiore quella dell'immaginazione che si sforza di immaginarsi come se non esistesse. Mettiti a pensare di non esistere e vedrai qual è l'orrore della sepoltura spirituale. Il terribile stato di coscienza in cui pensiamo che non ci sia questo stato, il pensare che non pensiamo, dà una vertigine di cui neppur la ragione può curare.
Quaderno III
Morte
Quando uno è tisico, la sua famiglia evita di dirglielo e cerca con tutti i mezzi di ingannarlo per non dirgli che gli restano un anno, mesi di vita. Contiamo su di essi? Quattro, cinque, dieci anni valgono più di uno? Non siamo tisici?
Pochi pensano alla
tabella della mortalità e alla vita probabile che gli resta: poiché siamo tutti
condannati a
morte. Sì, condannati
tutti a morte.
Se tutti gli uomini fossero
immortali tranne alcuni pochi, quale non sarebbe la disperazione di costoro?
Rendiamoci allora conto che gli altri sono immortali e noi no. Perché essi
moriranno per loro e, se muoiono dopo di noi, non moriranno. Quanti debbono
morire dopo di te, sono per te come se fossero immortali, nel caso che non ci
sia un’altra vita, perché, morto tu, che differenza c’è, che gli altri ti
debbano seguire o no? Per il fatto stesso che tutti moriamo, non penetriamo
tutto il senso del morire. Il “ tutti dobbiamo morire ” attenua e cancella il
terribile “ debbo morire ” ; sembra che il discorso, estendendosi e facendosi
da individuale a universale, si faccia più astratto, più freddo, più
matematico, meno tangibile e vivo e reale.
Si dice “ tutti
moriremo ” come si dice che i tre angoli di un triangolo equivalgono a due
angoli retti, come se ciò non portasse alla nostra vita una tremenda realtà.
L’immaginazione provvede
ad ingannarci, e poiché ci rappresentiamo il mondo che continua ad esistere
dopo la nostra morte, non pensiamo che questo mondo che noi ci rappresentiamo
come sopravvivente, non cessa di essere una rappresentazione che morirà con noi
e che così il mondo, il nostro mondo, terminerà quando noi termineremo e che,
se non c’è un’altra vita, la nostra fine è la fine del mondo.
Triste conforto che, morti noi, il mondo continuerà e vivranno i nostri figli e le nostre opere!
Triste conforto se, morendo, moriamo del tutto ritornando al nulla. Non conforto,
bensì sconforto e disperazione. E in cambio, idea affascinante se aspettiamo
un’altra vita!
Non c’è che un supremo problema morale e pratico, quello dell’oltretomba. Se è il nulla il mondo che tu immagini sopravvivere a te, non cessa di essere un’immaginazione tua che morirà con te.
Chi avrebbe non parole bensì sensazioni calde e vive trasmissibili per comunicare agli altri
l’emozione della
morte!
Abbiamo l’esperienza della
morte se non c’è un’altra vita e questa esperienza è quella del sonno profondo.
Morire sarebbe allora dormire per sempre. E perché noi dormiamo con tanta
ansia? Perché aspettiamo di svegliarci. Però, prova una notte ad immaginarti
fortemente che non ci si possa più svegliare e vedrai quello che diventa il tuo
sonno e, per quanto poca immaginazione tu abbia, che cosa è l’orrore.
Deve essere tremendo
sentire il sonno che invade la vita e lottare per resistergli, sentire che gli
occhi si chiudono e noi ci ostiniamo a tenerli aperti, che la testa se ne va e facciamo
sforzi disperati per fissarci sulle cose e in questi sforzi la esauriamo di più
e la condanniamo di più allo svanimento.
Immaginati più vivamente
che puoi di restare improvvisamente cieco e poi, quando stai consolandoti della tua cecità con le
impressioni degli altri sensi, di restare sordo, e di perdere poi il tatto,
l’olfatto, il gusto e persino la sensazione dei tuoi stessi movimenti, restando
una cosa inerte, a cui non è possibile neppure il suicidio perché non può
servirsi di se stesso. Ti restano ancora i tuoi solitari pensieri, la tua
memoria, puoi anche vivere nel tuo passato. Però, ecco che persino i tuoi
pensieri cominciano ad abbandonarti e, privato dei sensi, non puoi sostituirli
né rinnovarli e ti si vanno sciogliendo, ti si svaporano e resti con la mera
coscienza di esistere e alla fine perdi persino questa e resti solo, completamente
solo... no, non resti poiché sei nulla. E neppure ti resta la coscienza del tuo
nulla.
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